piątek, 15 lutego 2008

BILINGUISMO - articoli vari.

1.
"Mamma senti che lingua parlo!

I bambini che conoscono più lingue sono sempre in aumento. Ecco i pregi e gli svantaggi.

In un periodo di affermazione sempre più marcata delle differenze culturali, il fenomeno del bilinguismo nei piccolissimi assume una rilevanza notevole; sono sempre di più i genitori di nazionalità diversa che decidono di insegnare al bimbo fin da subito due lingue. Fare questa scelta presuppone una valutazione attenta da parte di mamma e papà dal momento che questo processo, impegnativo ma molto importante ai fini dello sviluppo cognitivo del bambino, richiede un impegno a lungo termine.

Cosa significa essere bilingue?
Mentre secondo alcuni essere bilingue significa avere le stesse capacità linguistiche in entrambe le lingue, per altri è la capacità di comunicare con tutte e due conoscendone meglio una.
Molto schematicamente, il bilinguismo si misura in "livelli": bilanciato – identiche abilità e conoscenze in entrambe le lingue; con una predominante – una lingue viene usata attivamente mentre per l’altra si ha un apprendimento passivo, per fare un esempio il piccolo capisce perfettamente i genitori che parlano tra loro in inglese ma è in grado di dialogarci solo in italiano.
Tenendo conto del "momento" in cui viene iniziato il processo si può avere: introduzione simultanea – entrambe, fin da subito; sequenziale – una lingua introdotta prima e l’altra successivamente seguendo, ai fini dell’apprendimento, le acquisizioni base sviluppate per la prima. Il processo di acquisizione simultanea è molto simile a quello dello sviluppo monolingue con l’unica differenza che il piccolo svilupperà la capacità di riconoscere i due sistemi di linguaggio.
Statisticamente l’età a cui di solito si pronunciano le prime parole è la stessa, i piccoli ritardi, se così si possono chiamare dal momento che non esiste una standard rigido codificato nelle tappe della crescita dei bambini, rientrano nei tempi accettabili.

Luoghi comuni e falsi miti
Capita che il bilinguismo nei bambini molto piccoli venga osservato con preoccupazione e un misto di scetticismo dagli esterni alla famiglia.
La convinzione più diffusa è che questa abilità possa influire in maniera negativa sullo sviluppo generale del linguaggio e questa "aspettativa" è nettamente percepita in ambienti dove il monolinguismo è visto come la normalità e il bilinguismo come l’anormalità.

Ecco qualche falso mito sfatato e qualche luogo comune su cui è bene fare chiarezza:

imparare due lingue confonde il piccolo e non lo aiuta a sviluppare l’intelligenza – vecchi studi che comparavano lo sviluppo intellettivo dei bambini bilingue hanno mostrato più di una leggerezza. Quella fondamentale riguarda il fatto che nel passato i bambini presi in esame erano immigrati recenti che vivevano in condizioni meno avvantaggiate rispetto ai coetanei e che conoscevano a malapena la lingua dello stato in cui si trovavano. Nuovi studi hanno messo in luce che non esistono differenze a livello di intelligenza;
un piccolo che impara due lingue non sentirà propria né una né l’altra e sarà sempre "strappato" fra le due culture – molto semplicemente, i bambini che vengono accettati da entrambe le culture con cui hanno a che fare si sentiranno parte integrante di esse senza drammi di identificazione;
la confusione mentale è ovvia se si pensa in una lingua e bisogna tradurre simultaneamente nell’altra – è la concezione che è sbagliata: il piccolo sarà in grado di pensare in entrambe le lingue e non per forza in una con il problema poi di adattare a seconda dell’interlocutore o del contesto;
i veri bilingue non mixano i due linguaggi, se lo fanno è sintomo di confusione – capita a volte che una parola di una lingua si inserisca nel contesto di un’altra: non è certo sintomo di confusione mentale, la ragione è che nelle prime fasi dell’apprendimento capita spesso che le due lingue si fondano e il verificarsi di ciò è semplicemente una sorta di "reminiscenza";
i bambini bilingue hanno una sorta di personalità sdoppiata – le due culture di solito fanno riferimento a norme comportamentali che hanno delle sfumature (o in alcuni casi delle vere e proprie differenze) che inevitabilmente influiscono sull’approccio alla lingua.
Oltre a non essere un sintomo di disturbo psicologico è una sfumatura impercettibile nell’infanzia..
Bambini speciali?
Cosa spinge i genitori del piccolo alla decisione di insegnargli fin da subito due lingue?
Le motivazioni possono essere le più disparate, indubbiamente però questa opportunità che si decide di dare al bambino è vissuta come un’occasione preziosa. È una marcia in più, è dargli il privilegio di venire a contatto in maniera completa e integrale con due culture, significa raddoppiare gli stimoli e offrirgli fin da subito un vantaggio che gli porterà benefici per tutta la vita.
Il piccolo esposto fin dai primi mesi, e simultaneamente, a due lingue diverse imparerà naturalmente a usarle entrambe. Il passaggio attraverso periodi di confusione in cui mixerà i due linguaggi prendendo vocaboli da uno e l’altro mettendoli nella stessa frase si verifica perché una parola che esiste in una lingua non necessariamente troverà una traduzione nell’altra e soprattutto non è detto che gli stessi termini, in inglese e italiano per esempio, traducano un concetto analogo. La separazione fra i due linguaggi avverrà gradualmente e comunque il piccolo manterrà questo doppio uso in alcuni contesti per creare degli effetti di specificazione maggiore.
Di solito poi una delle due lingue verrà concepita come meno formale dell’altra e usata maggiormente in contesto familiare, l’altra verrà usata nelle attività extradomestiche.
Ci sono poi periodi in cui una viene usata con prevalenza sull’altra per poi invertire il processo. Può anche darsi che il bambino non sviluppi analoghe capacità in entrambe e che capisca meglio una lingua di quanto poi non la parli. Una minore confusione avviene di solito quando le due lingue vengono "associate" nettamente a interlocutori diversi: nel caso per esempio che una venga parlata con la mamma e l’altra con il papà.
L’apprendimento poi può avere sfumature molto diverse: ci saranno differenze anche se il piccolo impara una lingua da un genitore che svolge la sua attività prevalentemente a casa e l’altra dal genitore che lavora fuori casa o che vede solo nel finesettimana.
In generale poi il rischio di andare incontro a problemi di confusione o di sviluppo del linguaggio è bassissimo quando entrambe le lingue sono introdotte contemporaneamente nei primi mesi. Tuttavia la scoperta di un ritardo nell’apprendimento di entrambe le lingue non è necessariamente il sintomo di un problema ma può caratterizzare una fase del percorso di assimilazione.

Quando cominciare
Il bambino figlio di genitori di nazionalità diversa sentirà parlare due lingue fin dalla nascita.
Di fatto, quindi, il problema di quando cominciare non si pone perché nel suo caso non verrà presa una decisione del tipo "da oggi gli insegniamo un’altra lingua". Nel periodo in cui vengono gettate le basi del linguaggio, per il piccolo è immediato l’apprendimento di una o due lingue ed entrambe verranno assimilate naturalmente.

Ecco le fasi dello sviluppo cerebrale nei primissimi mesi:
primo mese – tutti i sensi del piccolo reagiscono agli stimoli ambientali: tutto quello di cui ha esperienza diretta viene assorbito dal suo cervello e "archiviato" nelle cellule della memoria;
primi 6 mesi – il piccolo impara a usare i suoni e le parole con cui viene a contatto nell'ambiente.

Come fare
Per apprendere facilmente e in maniera efficace il bimbo dovrà avere tutta una serie di esperienze dirette con la lingua: dovrà sentirla, acquisire familiarità nei diversi contesti quotidiani e avere modo di usarla.
La metodologia di insegnamento non si basa su un percorso standard, i passaggi consigliati quindi sono quelli che vengono naturali al genitore che aiuta il piccolo nell’imparare a parlare. Questi principi fondamentali vanno considerati validi per entrambe le lingue che si vogliono insegnare al piccolo:
imparare facendo - giocando con il bambino o facendo una passeggiata avrà modo di fissare la sua attenzione sulla realtà riuscendo poi a ricordare con maggiore facilità espressioni e vocaboli;
aiutalo con immagini e suoni – accompagna la parola con un disegno: gli renderà le cose più immediate;
fallo divertire – più si divertirà più vorrà passare del tempo "giocando". Apprendere mentre si gioca è il modo migliore per suscitare emozioni nel piccolo e stimolandolo si apre più facilmente la via al ricordo;
il dialogo – chiacchierare con il bimbo è la base, puoi usare ritmi e musica e il tutto sarà molto più coinvolgente (oltre che efficace). Utilizza filastrocche e canzoncine, questi trucchetti hanno un impatto mnemonico molto forte: non è forse vero che ricordiamo ancora le tiritere imparate nella primissima infanzia? lasciagli tempo – il piccolo dovrà avere il tempo di interiorizzare quello che sta imparando.
Nell’apprendimento di un linguaggio c’è una fase di riflessione che è fondamentale: prima il tutto viene assorbito e poi il bambino inizia a parlare.
http://quimamme.corriere.it/"


2.
"Facile dire bilinguismo, più difficile è spiegarlo.
Pubblicato il 19 Novembre, 2007 di lineaitalia

Il concetto di bilinguismo è un concetto difficile da spiegare, interpretare, studiare. Si pensa comunemente che la persona bilingue bilanciata sia dotata d’una doppia competenza, domini cioè allo stesso modo due lingue differenti, ad esempio francese e inglese, o inglese e giapponese, o ancora italiano e sardo. Tuttavia, a guardar bene tutta una serie di problemi fanno riflettere gli studiosi delle lingue e della psicologia del linguaggio sulle difficoltà che pone una così banale definizione. Prima di tutto è difficile verificare mediante dei test ben ponderati se il parlante sa veramente gestire allo stesso modo le due lingue, che possono essere per conformazione ricche (italiano e sardo) o lontane (inglese e giapponese). Ora, un fatto che spesso è emerso da queste verifiche psicolinguistiche è che raramente un parlante usa o sa usare due lingue con la stessa padronanza in tutti, assolutamente tutti gli stessi contesti. Nei contesti più familiari (ad es. parlando del mangiare, della casa, delle esperienze quotidiane) la resa sembra essere identica, ma quando i contesti sono più specifici (le tasse, lo studio, la professione) una pare sopravanzare l’altra. Un dato curioso che conferma questa disparità fra due lingue apparentemente equi funzionali è fornito dalle patologie cerebro-vascolari: un afasico bilingue che ha subito un trauma cranico e che prima parlava spontaneamente catalano e spagnolo può parlare dopo la lesione soltanto catalano, non più spagnolo. Ma perché due lingue che sembravano essere due L1 o madrelingue possono differire nelle loro prestazioni? Alcuni studiosi sostengono che per soddisfare questa domanda bisogna chiedersi prima più cose: quando s’è cominciato ad acquisire le due lingue, e come?; quale grado di familiarità esiste nella mente del parlante per la prima e per la seconda lingua?; infine, quale atteggiamento mostra il parlante per ciascuna delle due lingue? Per quanto riguarda la prima domanda, sembra regnare unanimità sul fatto che prima s’impara la lingua (da 0 a 36 mesi) e più possibilità si hanno di padroneggiarla come una lingua nativa o materna (L1). Dopo i 4 anni chi impara una lingua lo fa seguendo un’altra strada, meno redditizia, e la lingua che apprende somiglia una seconda lingua o lingua straniera (L2). Si possono discriminare in questo modo i bilingui precoci (early bilinguals: con due L1 acquisite sin dalla nascita), dei parlanti fluenti di una seconda lingua (fluent second language speaker: una L1 acquisita prima dei 3 anni e una L2 appresa dopo i 3-4 anni). Il secondo quesito, riguardante la familiarità, implica una maggior dimestichezza di una lingua in alcuni settori, e della seconda in altri. Poiché si presuppone che per diventare bilingui ciascun genitore abbia sempre parlato la propria lingua (one parent one language è la formula magica!), è chiaro che il grado di familiarità con i settori cognitivi e del sapere sarà diverso. Il terzo quesito è più psico-sociale: si può amare di più una lingua di un’altra, per motivi esperienziali, di studio o semplicemente sociali. Elias Canetti rammentava sempre nelle sue conferenze che quando pensava alle esperienze della sua infanzia i suoi pensieri non ammettevano nessun’altra lingua che non fosse la materna. Per altri scrittori, fra cui tanti sardi illustri, la lingua che vinceva col tempo e guadagnava più affetto era quella socialmente più elevata e prestigiosa, in Sardegna l’italiano. Compendiando i risultati delle tre domande poste prima, possiamo dire che il parlante bilingue bilanciato (con due L1) è una persona che quando parla può “automaticamente” (in un modo procedurale che somiglia all’abitudine a guidare o accendersi una sigaretta) passare da una lingua all’altra, tradurre come un computer qualsiasi concetto nei due sistemi in competizione, sentirsi a suo agio parlando o scrivendo l’una o l’altra lingua. Viceversa, chi non possiede un bilinguismo perfetto, ma sa più una lingua di un’altra, in questa seconda i suoi riflessi saranno meno automatizzati, e perciò più sottoposti a continua verifica (egli si varrà perciò d’una più estesa competenza metalinguistica, chiedendosi se la struttura utilizzata sia adeguata o meno), ma soprattutto egli utilizzerà altre strategie sostitutive per comunicare, utilizzerà maggiormente la competenza pragmatica. La mente del bilingue è complessa, e in parte lavora diversamente da quella del parlante monolingue. Un dato ormai accertato è che la competenza bilingue, come quella monolingue, sia serbata nell’emisfero sinistro. Un altro dato, anch’esso acquisito è che il bilinguismo favorisca il potenziamento di altri schemi cognitivi (memoria, attenzione) e di tecniche che agevolino l’apprendimento di lingue straniere. Ma com’è la situazione sarda alla luce di questi dati? In primo luogo, poco sappiamo sul numero di parlanti, e soprattutto sulla loro competenza multipla. Per avere qualche dato significativo occorrerà condurre dei test molto ben predisposti. Come ricorda Michel Paradis, uno dei più noti studiosi del bilinguismo, uno degli errori più frequenti nelle inchieste sul bilinguismo concerne la traduzione delle parole (come tradurre lavoro in sardo?: traballu), partendo dal presupposto errato che il significato condiviso sia del tutto uguale. In realtà, occorre sempre precisare che i significati nelle due lingue possono anche differire minimamente (in sardo c’è anche faina, che è un lavoro non retribuito). In secondo luogo, occorrerebbe studiare i processi di acquisizione del sardo nei primi anni di vita presso quelle famiglie (sicuramente poche ormai), in cui almeno uno dei due genitori parli sempre sardo coi figli. Soltanto in questo modo sapremo come imparano la L1 i Sardi, e quali strutture non appartengono alla L1, ma sono proprie d’una L2. Introdurre il bilinguismo è un compito arduo che, per quanto riguarda la Sardegna, richiede ancora la ricerca e lo studio sulla natura e la densità del processo.
Eduardo Blasco Ferrer

Da www.sotziulimbasarda.net
LINEA ITALIA lingua e cultura italiana Prof. Marcelo Castro Martino"


3.
"
Apprendimento linguistico nei bambini bilingue.

I ricercatori dell’Università di Ottawa e della British Columbia hanno scoperto che i bambini provenienti da famiglie bilingue apprendono parole con suoni analoghi in maniera diversa rispetto ai bambini che provengono da famiglie monolingua.

Lo studio, pubblicato sulla rivista Child Developement, ha evidenziato che i bambini provenienti da famiglie bilingue hanno un differente processo di apprendimento delle parole.
Christopher Fennell, autore della ricerca, spiega che i bambini bilingue hanno bisogno di focalizzare la loro attenzione sull’associazione generale tra parole e oggetti, spesso una parola per ciascuna lingua, piuttosto che sul dettaglio dei suoni.

“Lo studio sui bambini bilingue permette ai ricercatori di approfondire i meccanismi dell’apprendimento linguistico nei bambini generale – precisa – e ai genitori che allevano i loro figli in ambienti bilingue di saperne di più sull’acquisizione del linguaggio”.
La ricerca è stata condotta su bambini mono e bilingue di 14, 17 e 20 mesi, provenienti da famiglie in cui si parla Inglese-Cinese e Inglese-Francese. In particolare, è stata testata la loro abilità di associare due parole, differenti nel suono di una sola consonante, con due diversi oggetti.



Fonte: Science Daily"


4.
"
Bilinguismo in Famiglia

Riportiamo un breve e interessante documento sul bilinguismo in famiglia. Il documento è stato redatto per l’”Osservatorio linguistico della Svizzera italiana (OLSI)” e si trova allegato al volume “Famiglie Bilingui” di Bruno Moretti e Francesca Antonini, Locarno, 2000, Armando Dadò editore.
Nel documento troverete riassunte in maniera sintetica le più recenti teorie e conoscenze sul bilinguismo e una serie di regole ragionate da seguire con i vostri bambini.


Perché è naturale diventare bilingui
La possibilità di diventare bilingui per i nostri bambini non è solo una fortuna, ma un dono prezioso.
Con l'esperienza del genitore e non del ricercatore, vorrei parlare di alcuni aspetti dell'essere o del poter essere bilingui per i nostri figli.

Gli studiosi ci suggeriscono che il bambino, fin dalla nascita, è perfettamente in grado di assimilare due o più lingue, se a queste è esposto sufficentemente.

Dobbiamo considerare superati i preconcetti più comuni( Myths ) secondo i quali il bambino che vive a contatto con 2 o più lingue le confonderebbe tra loro, non ne svilupperebbe nessuna adeguatamente, comincerebbe a parlare più tardi, o addirittura avrebbe problemi a scuola o con i compagni.
Nessun dato scientifico supporta queste credenze, ma studi e l'esperienza pratica dicono proprio il contrario: i bambini o i ragazzi bilingui non mescolano mai le lingue fra loro se non volontariamente ed hanno padronanza del linguaggio esattamente come i loro coetanei monolingue (cioè alcuni più altri meno ma ciò in relazione a fattori esterni e non al numero delle lingue parlate).
Un relativo numero di bambini comincia a parlare tardi e ha problemi vari a scuola, ma solo quelli bilingui vengono "notati" e viene attribuito la causa del ritardo all’essere a contatto con più lingue.

Gli studiosi ci dicono che nel cervello di un bambino bilingue si creano a mano a mano due distinti e differenti apparati linguistici da dove il bambino attinge al bisogno. E' come dire che il bambino usa due "scatole magiche" separate da cui tira fuori le parole e le espressioni che gli servono in quel momento. Tutti i genitori di bambini bilingue più grandicelli, vi diranno che i bambini non sbagliano mai lingua nel rivolgersi ad un adulto, e che non mischiano mai le due lingue anche se, all'inizio e fino a circa tre anni, lo hanno fatto.

Due fondamentali capacità spontanee aiutano il bambino nella costruzione del suo linguaggio futuro:
-Quando il bambino inizia la "lallazione" (cioè l’emissione di suoni ripetitivi, a sequenze variamente composte-dadada; gugu; ghigughigu ecc)-attorno ai quattro/cinque mesi, emette dei suoni tipici ripetuti che sono praticamente gli stessi per tutti i bambini del mondo. Solo più tardi, copiando gli adulti, il bambino effettua una specie di screening, che gli fa "dimenticare" suoni e inflessioni che non appartengono alla sua lingua, e quindi non gli servono e "tenere" nel suo bagaglio linguistico solo quelli famigliari.
Questo significa che, alla nascita, ogni bambino è perfettamente in grado di riprodurre qualsiasi suono vocale con cui venga a contatto.
Se i suoni con cui viene a contatto appartengono a più lingue il bambino li assimilerà tutti e non li dimenticherà più.

-L’altra capacità nei bambini molto piccoli che sembra essere assolutamente spontanea nello sviluppo del bambino, è quella di riprodurre le forme grammaticali della propria lingua automaticamente senza doverle studiare, prima di ogni contatto con la scuola. In ogni lingua esistono regole e strutture grammaticali più o meno difficili oltre ad eccezioni e irregolarità. Il riprodurre le regole da parte del bambino quindi non è solo un semplice copiare l’adulto, ma sembra che il bambino abbia una specie di capacità “creativa” nel formulare le proprie frasi. Certo questo è un processo lungo che dura nel tempo e passa attraverso tentativi ed errori frequenti che spariscono o diminuiscono in età scolare.

Gli studi in materia hanno messo in luce che queste due speciali capacità del bambino molto piccolo, diminuiscono e poi scompaiono quasi del tutto fra gli otto e i dodici anni. Dopo questa età, le complicazioni sociali e comportamentali che entrano in gioco rendono difficile l’acquisizione spontanea della lingua.
E’ quindi importante che il bambino venga messo in contatto con una seconda lingua prima di questa età cruciale.

Dopo questa età imparare una lingua potrà comunque essere facile , ma sarà “a tavolino”, cioè con lo studio sistematico con tutto ciò che esso comporta.

In altre parole il bambino comincerà a parlare una seconda lingua se qualcuno parlerà con lui quella lingua se non dalla nascita, dalla più tenera età e se avrà il bisogno e il piacere di esprimersi con essa .


Fatte queste osservazioni sull’età favorevole ad imparare una seconda lingua, permettetemi una domanda:
perché in quasi tutte le scuole in Europa l’introduzione dello studio delle lingue straniere è quasi sempre nelle scuole superiori, cioè subito dopo la pubertà, cioè appena si è persa la capacità spontanea a diventare bilingui?

“Children are born ready to become bilinguals and multilinguals. Too many are restricted to becoming monolinguals.[...] No caring parent or teacher denies children the change to develop phisically, socially, educationally or emotionally. Yet we deny many children the change to develop bilingually and multilingually. (Baker C., 1995, A parents' and teachers' guide to bilingualism, Multilingual Matters, Clevedon.)



L'importanza del gioco e di un playgroup dove incontrarsi.

"Il fattore più importante nello sviluppo del linguaggio di un bambino bilingue non ha niente a che vedere con il linguaggio stesso. Ha a che vedere invece con il fatto di rendere il linguaggio piacevole e divertente, un' esperienza felice per i bambini." (Baker C., 1995, Op Cit. - Trad. Pers.)
Molti studiosi dell’argomento mettono l’accento sul fatto che più il bambino legherà il parlare una seconda lingua a sensazioni piacevoli più sarà possibile e andrà a buon fine il suo diventare bilingue.
Nel nostro playgroup in italiano cerchiamo di fare proprio questo: creare un ambiente favorevole e piacevole per i bambini, a contatto con persone che parlano italiano e altri bambini nelle loro stesse condizioni.
Un importante momento aggregativo e di approccio alla lingua è il CIRCOLO DELLE CANZONCINE E RIME : I bambini e i loro accompagnatori saranno invitati a cantare con noi alcune canzoncine e rime in italiano. La sessione dura circa 10/15 minuti che è il tempo consigliato per l'età dei nostri bambini (prima che si distraggano e si stanchino). Le ricerche hanno provato che una delle più importanti attività che precede lo sviluppo della lettura è proprio quella di sentire e imparare canzoncine e rime.
Inoltre le canzoni aiutano moltissimo i più piccoli a memorizzare nuove parole divertendosi.
Ci aiuteremo anche con canzoni inglesi, che probabilmente i bambini già conoscono, tradotte in italiano. In genere dopo un primo smarrimento ai bambini diverte sapere che la stessa canzone può essere cantata con parole diverse, e la imparano volentieri.
Se saranno presenti alcuni bambini più grandi (maggiori di 4 anni) leggeremo una storia con l’ausilio di immagini o pupazzi.
line
soli_Suggerimenti_
Queste vogliono essere solo indicazioni generali dettate dall’esperienza personale, dal contatto con persone e situazioni bilingui, e dallo studio di testi specifici sull’argomento.
Ogni situazione è però diversa, quindi ognuno saprà adattarsi alle esigenze specifiche proprie e del proprio bambino.

-Pensiamo che, in ogni caso, è preferibile iniziare a parlare al bambino in due lingue fin dalla nascita. Se un bambino viene esposto alle due lingue fin dall’inizio penserà che il mondo è fatto così: la mamma parla in un modo e papà invece in un altro (oppure: a casa si parla così e fuori invece così) e lo troverà assolutamente normale e accettabile.
-Anche un bambino un po’ più grande, in età prescolare o che ha iniziato la scuola da poco, avrà comunque buone possibilità di acquisire spontaneamente una seconda lingua. A questa dovrà però essere avvicinato con naturalezza, senza forzature e legando la seconda lingua ad attività piacevoli a lui gradite (il gioco con altri bambini bilingui o che parlino l’altra lingua, sopra a tutte; il canto figurato e l’ascolto di canzoni; la lettura di libri e favole per bambini con una persona adulta che parli la seconda lingua; la visione di cartoni animati o programmi per l’infanzia già noti e non nella seconda lingua ecc).


-Bisogna scegliere per il bambino un modo per avvicinarlo alla seconda lingua e non cambiarlo più. Questa scelta dipende in genere dalla situazione famigliare in cui si vive.
Di solito i metodi sono: “ una Persona, una Lingua” o “ un Ambiente, una Lingua” a seconda che le coppie di genitori siano miste o di stessa nazionalità.
Nel primo caso sarebbe opportuno che ambedue i genitori parlassero o cercassero di imparare anche l’altra lingua. Parlando sempre e solo la propria lingua in famiglia si crea meno confusione per il bambino e un ambiente più armonioso.
Se la madre è straniera e il papà del luogo, in genere l’acquisizione spontanea e precoce della seconda lingua è più semplice. Questo a patto che la mamma si rivolga al bambino sempre nella sua lingua ( e traduca ciò che dice in presenza di persone del luogo) e non cambi in seguito il suo modo di fare.
Quando il padre è straniero di solito le cose sono più difficili.
In questo caso la convinzione che l’eventuale bilinguismo del bambino è assolutamente prezioso per lui deve assere forte e radicata.
In questa situazione il papà dovrebbe comunque scegliere di parlare sempre la sua lingua con il bambino, mentre entrambi i genitori dovranno dedicare maggiore attenzione alla sua educazione bilingue supportandolo frequentemente con interventi rafforzativi della seconda lingua.
Nel caso di genitori della stessa nazionalità che vivono in un paese straniero il metodo “ un Ambiente, una Lingua” è, almeno all’inizio, di più facile applicazione. I genitori possono parlare la lingua straniera a casa (ed eventualmente nella casa dei nonni), e parlare la lingua del luogo in tutte le altre situazioni.
Rafforzare la seconda lingua con interventi di sostegno sarà comunque utile in tutti i casi, specialmente quando il bambino comincerà ad andare a scuola o avrà contatti più frequenti con i bambini del luogo.
Per rafforzare la seconda lingua si può innanzi tutto cercare di organizzare frequenti contatti di gioco con altri bambini in situazioni simili; passare le vacanze il più spesso possibile nel paese straniero; aiutarsi con cd, dvd, libri nella seconda lingua; inventare giochi da fare solo in quella lingua. Un aiuto per quando i bambini cominciano la scuola, è di procurarsi un libro della scuola elementare italiana, e, parallelamente alla scuola inglese iniziare lo studio della lingua italiana.
Attenzione che niente sia forzato o non gradito ai bambini. Il risultato sarebbe inevitabilmente l’opposto di quello sperato. Cercate di essere il più naturali ed entusiasti possibile nel proporre al bambino le attività di supporto. Se comunque questo non basta, e il bambino ha reazioni negative, cambiate attività o rimandatela ad un altro momento, ma comunque non desistete. Anche nei casi in cui sembra che il bambino non acquisisca nulla e non reagisca, gli starete comunque costruendo una base solida su cui costruire il proprio bilinguismo in futuro.


-E’ interessante e divertente tenere un diario di tutte le parole che vostro figlio dice giorno dopo giorno.
Si può cominciare molto presto con l’annotare i primi suoni che emette e continuare con i primi tentativi di comporre parole e le prime parole vere e proprie.
Per le due lingue io faccio così: con un colore segno le parole in italiano, con un altro quelle in inglese e con un altro ancora quelle comuni alle due lingue e i nomi propri. Posso così capire “a vista” i progressi nelle due lingue e se e quando una prende il sopravvento sull’altra.
Il diario, oltre che utile, sarà un bellissimo ricordo da tenere per il futuro.


-Mai fare finta di non aver capito se il bambino si rivolge al genitore straniero nella lingua del luogo o viceversa. Accadrà molto spesso che vostro figlio vi parlerà con una lingua diversa dalla vostra. Quando è molto piccolo, in genere prima dei tre anni e non formula ancora che poche e semplici frasi, userà la parola che prima gli viene in mente, o quella più facile da pronunciare. Non correggetelo MAI traducendo la parola in italiano con tono stizzito o con frasi come”no, con me devi dire......”. Provocherete nel bambino solo confusione e delusione perché penserà di avervi contrariato senza capirne il motivo. Semplicemente ripetete con entusiasmo la parola “incriminata” nella vostra lingua facendogli capire che avete compreso ciò che vuole e siete contenti che si è sforzato di esprimersi. Se il vostro bambino italo/inglese vuole un cucchiaio e vi dice “pun, pun” rispondete con entusiasmo”Siiii! Vuoi un cucchiaino?! Ecco prendi.” Molto probabilmente continuerà a chiedervi “pun”(molto più facile che dire c.u.c.c.h.i.a......), ma sicuramente se gli chiederete “mi prendi un cucchiaino?” vi porterà l’oggetto richiesto senza esitazioni.
Anche quando vostro figlio sarà più grande e si esprimerà meglio anche nella vostra lingua potrà capitare che vi parlerà nella lingua locale. Un caso tipico è un bambino che torna da scuola e vi racconta quello che ha fatto, nella lingua che parla a scuola. Di nuovo non fate mai finta di non capire per forzarlo a parlare la vostra lingua. In quel momento lui vuole un vostro consiglio o un vostro commento.
Focalizzare l’attenzione da parte vostra sul modo e non sul contenuto, cioè su come e non su cosa vi sta dicendo, sarebbe un grave sbaglio e potrebbe provocare in lui frustrazione e risentimento. Come riporta il documento dell’OLSI allegato al primo punto, prima viene il bambino, e poi la o le lingue che parla, cioè prima vengono i contenuti poi le forme.
Di nuovo rispondete al bambino nella vostra lingua in maniera del tutto naturale. Lui vi capirà comunque e anche questo sarà un passo importante nella sua formazione bilingue.


-Cercate di non mescolare le lingue mentre parlate se non volete che il bambino lo faccia a sua volta. A volte chi vive in un paese di lingua differente dalla propria è portato, mentre parla, a “prendere in prestito” parole e frasi dell’altra lingua che in quel momento affiorano alla mente. Meglio evitare di mischiare le lingue da parte vostra o il bambino penserà che è lecito farlo e vi copierà, o semplicemente confonderà parole e modi di dire nelle due lingue e faticherà molto di più a districarsi tra di esse.



-Cercate di far passare le vacanze ai vostri figli bilingui nel paese della lingua che non parlano dove vivono. Cercate di portarli dalla nonna che “cucina i loro piatti preferiti”, o dai cuginetti con cui poter giocare. Prendete anche in considerazione, quando è più grande, di mandarlo per un periodo da solo dai cugini o dagli zii, o addirittura di andare per un periodo più lungo nell’altro paese, e fargli frequentare per qualche tempo la scuola locale.
Antonella Amati"


5.
"Bambini e bilinguismo.

I vantaggi dell’apprendimento della seconda lingua sullo sviluppo cognitivo dei più piccoli

Attualmente gran parte dei Paesi nel mondo utilizzano nell’ambito delle loro attività quotidiane, che siano di studio o di lavoro, più di una lingua.
L’incremento dei flussi migratori e la conseguente affermazione delle differenze culturali hanno fatto si che il monolinguismo rappresenti oggi quasi una eccezione generando un cambiamento di prospettiva rispetto al passato quando il bilinguismo era un fenomeno alquanto raro; a tal proposito basti pensare che ancora agli inizi del secolo scorso era diffuso il pensiero che il bilinguismo potesse essere responsabile di una minore capacità intellettiva.
Ma cosa s’intende esattamente per “bilinguismo”?
L’espressione "bilinguismo” secondo Mackey (1977) è utilizzata per riferirsi a numerosissime situazioni di padronanza della lingua materna e di una lingua seconda o straniera, molto diverse da loro, a seconda dei fenomeni psico-sociolinguistici implicati.

Secondo Elisabeth Deshays (2003), studiosa inglese del fenomeno del bilinguismo, “il termine bilinguismo indica la capacità di un individuo di utilizzare due lingue con una correttezza fonetica sufficiente per eliminare ogni ostacolo alla buona comprensione di ciò che dice e con una padronanza del vocabolario e delle strutture grammaticali paragonabile a quella di un autoctono dello stesso ambiente sociale e culturale”.
Sempre la Deshays (2003) ci aiuta a fare distinzione tra un bilinguismo di tipo “composto” e un bilinguismo di tipo “coordinato”, a seconda del modo in cui due lingue coesistono in uno stesso individuo.
Parliamo di bilinguismo “composto” quando la seconda lingua è stata appresa e vissuta esclusivamente attraverso la mediazione della lingua materna.
Il bilingue “coordinato” al contrario ha appreso la seconda lingua utilizzandola come mezzo di comunicazione in un contesto naturale e ha sviluppato un insieme di abitudini mentali che si rifanno a un sistema linguistico indipendente da quello della lingua materna.
Questi tipi di bilingui rappresentano dei casi estremi, ma fra i due poli si colloca una serie di soggetti bilingui che appartengono, in casi diversi, alle due categorie.
Anche se sono sempre più numerosi i genitori di nazionalità diversa che decidono di insegnare ai propri figli fin da subito due lingue può capitare che il bilinguismo nei bambini molto piccoli venga osservato con un misto di preoccupazione e scetticismo: la convinzione più diffusa è che questa abilità possa influire in maniera negativa sullo sviluppo generale del linguaggio; questa "aspettativa" è nettamente percepita in ambienti dove il monolinguismo è visto come la normalità e il bilinguismo come l’anormalità.
Nel passato infatti era radicata la credenza che imparare due lingue confondesse i piccoli e non li aiutasse a sviluppare l’intelligenza; tuttavia i vecchi studi che comparavano lo sviluppo intellettivo dei bambini bilingue con quello dei bambini monolingue hanno mostrato più di una leggerezza, quella fondamentale riguarda il fatto che nel passato i bambini presi in esame erano immigrati che vivevano in condizioni meno avvantaggiate rispetto ai coetanei e che conoscevano a malapena la lingua dello stato in cui si trovavano.
Nuovi studi hanno messo in luce che non esistono differenze a livello di intelligenza: anzi sembra proprio che il bilinguismo faccia bene, benissimo se precoce: a tal proposito alcuni ricercatori del Darmouth Department of Psychological and Brain Sciences nel Massachusetts sostengono che i bambini che vengono esposti a due lingue diverse molto presto crescono come se avessero un cervello che ospita due individui monolingua e non subiscono affatto ritardi nell’apprendimento dell’idioma principale e nemmeno fanno confusione tra i due linguaggi.
Laura-Ann Petitto e i suoi colleghi del Dartmouth College hanno confrontato un gruppo di bambini monolinguistici, che parlavano francese o inglese, con un gruppo di bambini bilinguistici, che apprendevano una lingua parlata insieme a una lingua scritta. I ricercatori hanno studiato le capacità cognitive dei bambini con il "Simon Task", un metodo di ricerca comunemente usato per determinare il livello di attenzione degli esseri umani: i bambini dovevano indicare se riquadri di colore diverso, generati dal computer e che si modificavano rapidamente, apparivano sul lato sinistro, destro o sul centro dello schermo.
Dall’analisi dei risultati della ricerca è emerso che i bambini bilinguistici hanno ottenuto prestazioni molto superiori a quelle dei loro compagni monolinguistici: "Pensavamo che i primi fossero svantaggiati perché il loro sviluppo del linguaggio poteva essere rallentato dalla confusione dovuta all'apprendere due lingue, - commenta la Petitto - invece lo studio ha rivelato che ciò non è affatto vero. Al contrario, la maggiore capacità di calcolo necessaria per elaborare due diversi sistemi linguistici aumenta le abilità cognitive dei bambini".
Numerosi sono i vantaggi del bilinguismo sul piano pratico: secondo i bilingui interrogati dalla Deshays (2003) nel corso di uno studio effettuato intervistando più di un centinaio di persone provenienti da quindici Paesi diversi il bilinguismo favorisce la comprensione, la tolleranza e l’apertura mentale nei confronti di altri popoli e di altri costumi; amplia la visione e le prospettive del mondo; permette di sentirsi a proprio agio con tutti i tipi di persone e nelle situazioni più disparate; suscita nell’individuo un grande interesse per tutto ciò che ha a che fare con il linguaggio e le lingue.
Ed è per questo che il bilingue può dar prova di una flessibilità mentale raramente raggiunta dalle persone che parlano una sola lingua.
Appare altresì importante far si che il bambino acquisisca la seconda lingua quanto prima: dal punto di vista biologico e psicologico infatti l’apprendimento della seconda lingua appare più facile fino all’età di circa otto anni. La crescita e la maturazione riducono questa possibilità che scompare del tutto al momento dell’adolescenza.
Il periodo cruciale dell’acquisizione di una lingua dovrebbe concludersi con la messa a punto del sistema nervoso, ovvero verso l’età di sette-otto anni. Fino a quel momento il cervello presenta una certa plasticità, ed è per questo motivo che mentre consolida i meccanismi linguistici della lingua materna, il bambino può procedere ad una riorganizzazione parziale del proprio sistema interno per accoglierne una seconda.
Per quanto concerne la metodologia di apprendimento della nuova lingua appare evidente che il bambino dovrà avvalersi di tutta una serie di esperienze dirette con la lingua: dovrà sentirla, acquisire familiarità nei diversi contesti quotidiani e avere modo di usarla. In particolare appare molto importante far si che il bambino impari una nuova lingua divertendosi: apprendere mentre si gioca è il modo migliore per stimolare e suscitare emozioni nei più piccoli facilitando il processo della memorizzazione; come sottolinea Zuanelli Sonino (1984): “nel gioco con altri bambini e facendo amicizia, il bilingue impara altri modi di esprimersi e varie nuove routines comunicative, seguendo tacitamente le regole linguistiche della comunità di cui in tal modo viene a far parte. La transizione da casa a scuola, trasporta il bilingue in una più ampia sfera di attività sociale ed implica l'apprendimento di nuovo stili di lingua orale e scritta, che sono usati in nuovi compiti comunicativi ed in una nuova varietà di funzioni”.
Zuanelli Sonino (1984) evidenzia inoltre la potente influenza che la scuola ha sulla formazione linguistica dei bambini, poiché crea un contesto, sia pur esso artificiale, nel quale si sviluppano nuovi usi della lingua.
Secondo Felix - Simmet (1986) "nella scuola il bambino è educato a condividere lo stile di discorso dell'insegnante, il quale gioca costantemente un ruolo fondamentale nello strutturare il discorso del bambino, sia come modello a cui implicitamente conformarsi, che come agevolatore dell'uso di talune varietà linguistiche più che altre, ed infine come stimolatore alla correttezza e pregnanza morfosintattica e lessicale".
Alla luce di queste considerazioni concludiamo riprendendo il pensiero di Elisabeth Deshays (2003) secondo cui " la padronanza naturale di due lingue non costituisce un ostacolo al benessere morale o intellettuale dei bambini; l’aspetto più prezioso del bilinguismo non è tanto il dono di impressionare gli altri quanto piuttosto la tolleranza, l’apertura e la flessibilità mentale che ne conseguono".
Ed è proprio per questo motivo che il bilinguismo andrebbe generalizzato permettendo a tutti i bambini di avvicinarsi alle lingue straniere non come semplici materie in programma, ma come veicoli educativi della loro vita.
http://www.ild.rai.it"


6.
"Dieci Tesi Neuro-Psicologiche a Favore Dell´Accostamento Precoce Alle Lingue Straniere
di: Michele Daloiso

L’acquisizione precoce delle lingue straniere, d’ora in avanti LS, è un tema quanto mai attuale, soprattutto se si considera che è stato indicata dal Consiglio d’Europa come requisito imprescindibile per la formazione della cittadinanza europea (si vedano a questo proposito la Risoluzione del Consiglio del dicembre 1997 e il conseguente Piano d’Azione). Accompagnare il bambino alla scoperta delle LS costituisce pertanto un dovere innanzitutto politico, che trova però un sostegno importante nei recenti risultati della ricerca sia neurologica sia psicologica.
In questo contributo vedremo nel dettaglio dieci validi motivi, desunti dalla ricerca neuro-psicologica, per un incontro con la LS sin dalla più tenera età.

* Il bambino possiede una plasticità cerebrale unica.Nei primi anni di vita il cervello è protagonista di una crescita molto intensa, con tempi di maturazione che variano a seconda delle aree cerebrali, ma che può essere riassunta come segue. In una prima fase si verifica un incremento improvviso della densità neuronale e della sinaptogenesi, dipendente in parte da fattori genetici (maturazione) e in parte dall’interazione del bambino con la realtà circostante (sviluppo); segue poi una seconda fase corrispondente ad una lenta riorganizzazione sinaptica, a seconda sia della frequenza di esposizione agli stimoli sia delle risposte che il bambino associa alle stimolazioni. Infine, con il processo di mielinizzazione termina la maturazione cerebrale, in quanto i canali nervosi vengono stabilizzati definitivamente (Kandel et al. 2003, Goswami 2004).
Accostare precocemente alla LS significa far leva su questa incredibile potenzialità cerebrale del bambino, e dunque favorire la creazione di connessioni sinaptiche legate all’input in LS, che si stabilizzeranno con il tempo, la reiterazione e la rielaborazione degli stimoli.

* Nei primi anni di vita la recettività neurosensoriale è al massimo delle potenzialità.Sebbene alla nascita siano già perfettamente funzionanti tutti gli organi sensoriali, è solo durante i primi anni di vita, anche in corrispondenza dell’esperienza con il mondo circostante, che il bambino inizia ad integrare le informazioni provenienti dai diversi canali sensoriali, attribuendo loro un significato ed associando ad esse connessioni sinaptiche precise (Tasca, 2002).
Le potenzialità dello sviluppo neurosensoriale sono un importante strumento per il bambino, che riesce così ad associare la lingua, e dunque anche la LS, a stimoli multisensoriali, che costituiscono il primo passo per la formazione di un sistema concettuale bilingue. Le recenti scoperte in questo ambito non fanno che confermare il ruolo centrale della sensorialità nell’apprendimento precoce che uno dei maggiori glottodidatti italiani, Giovanni Freddi, aveva già sottolineato molti anni prima (Freddi, 1990a; 1990b).

* Il bambino manifesta una predisposizione all’acquisizione linguistica.Senza voler entrare nell’ambito della disputa tra innatisti e piagetiani, è innegabile che il bambino, ancor prima di nascere, manifesti una preferenza attentiva verso i suoni linguistici rispetto al rumore e riesca a riconoscere e memorizzare (e dunque apprendere) i suoni a cui viene esposto attraverso la madre (Oliviero Ferraris 1990; Mandler, 1988). A ciò si aggiungono la spontanea curiosità infantile e la spinta all’interazione con l’ambiente circostante, che caratterizzano già i primi mesi di vita.
Queste abilità precocissime dimostrano una certa predisposizione del bambino all’acquisizione linguistica e possono essere attivate e stimolate anche per l’acquisizione di una LS.

* L’apprendimento infantile è mosso da una spinta motivazionale intrinseca. Il bambino, a differenza dell’adulto, è motivato all’apprendimento da un naturale interesse, una curiosità e un piacere spontanei nel relazionarsi con il mondo e imparare da esso. A livello psicologico si parla dunque di una motivazione intrinseca, slegata cioè da fattori esterni condizionanti (Caon e Rutka, 2004).
Ciò vale anche per l’acquisizione della LS, a cui il bambino si accosta con spontanea curiosità, manifestando inoltre verso di essa un atteggiamento potenzialmente positivo, ossia non ancora influenzato da fattori esterni, come ad esempio l’importanza socio-economica dei paesi parlanti quella lingua e, di conseguenza, l’opportunità di studiarla per motivi utilitaristici.

* La LS può favorire la naturale spinta alla socializzazione. Sin dalla più tenera età il bambino è mosso da un forte bisogno di comunicare. Questa considerazione trova riscontro da un lato nello sviluppo precocissimo di strategie comunicative che fanno leva sul contatto oculare, sulla mimica e la gestualità, e dall’altra nella spinta motivazionale ad acquisire il linguaggio degli adulti per scopi comunicativi e pragmatici.
Gli studi piagetiani, che hanno riscontrato alcuni atteggiamenti egocentrici nel bambino, e dunque una sua sostanziale incapacità di prendere in considerazione punti di vista diversi dal proprio, in realtà non smentiscono quanto fin qui affermato. Studi più recenti hanno infatti dimostrato l’emergere già all’età di tre anni della capacità di modificare il proprio linguaggio per parlare con una persona più piccola o più grande, manifestando consapevolezza della diversità di bisogni dell’altro (Shatz e Gelman, 1973). Si potrebbe pertanto coniugare le osservazioni di Piaget con i contributi più recenti ipotizzando che il bambino tenda a manifestare una precoce spinta alla comunicazione, dapprima centrata sui propri bisogni (egocentrismo), e progressivamente decentrata verso l’esterno; tale decentramento sembrerebbe avvenire molto più precocemente di quanto sostenesse Piaget (d’altronde nella società moderna il bambino ha più possibilità di interazione con gli adulti e i pari di quante ne avesse un tempo: si pensi per esempio all’importanza odierna delle esperienze di socializzazione nell’asilo nido e nella scuola dell’infanzia).
Se acquisisce precocemente una LS, il bambino può usufruire di un ulteriore codice espressivo verbale, e dunque uno nuovo strumento a disposizione per soddisfare i propri bisogni comunicativi e sviluppare competenze socio-relazionali adeguate ai contesti. Vanno infine evidenziati i risultati di alcune ricerche italiane, secondo cui i bambini bilingui dimostrano una maggiore disponibilità alla socializzazione, come alcune ricerche negli anni ’80 hanno messo in luce (si vedano ad esempio gli studi di Taeschner).

* La lingua straniera costituisce un arricchimento nella formazione del sistema semiotico infantile.
Il bambino sviluppa fin dalla più tenera età una sorta di “facoltà semiotica”, ossia la capacità codificare, decodificare e transcodificare segni usando linguaggi diversi: verbale, visivo, mimico-gestuale, vestemico... Lo sviluppo di tale facoltà consente al bambino, ad esempio, di collegare suoni linguistici ad oggetti materiali, formando poi concetti ad essi legati. Ma, riprendendo la terminologia di Saussure, la connessione tra significante, significato e referente (cioè, ad esempio, tra la parola “mela”, il concetto di mela e il frutto concreto), è arbitraria, nel senso che dipende esclusivamente dalla lingua a cui siamo esposti. Tale arbitrarietà non viene percepita dal bambino se non quando egli inizia ad apprendere una LS. In un esperimento riportato da Coonan (in Balboni, Coonan, Ricci Garotti, 2001), alla domanda “il sole potrebbe chiamarsi luna?”, solo i bambini bilingui hanno risposto si, purché si stabilisse una convenzione sociale sull’uso delle parole. L’esperimento dimostra chiaramente il contributo positivo della LS nello sviluppo semiotico del bambino, poiché lo sensibilizza fin da subito all’arbitrarietà linguistica, favorendo inoltre un precoce sviluppo metalinguistico.

* Non esistono prove neuro-psicologiche inconfutabili circa un possibile “conflitto” tra L1 e L2.
Sebbene recenti ricerche abbiano fornito risposte convincenti alle incertezze di pedagogisti e psicologi sull’opportunità di esporre i bambini a più di una lingua fin dalla prima infanzia, permangono a volte tra i genitori alcuni pregiudizi sul bilinguismo infantile, il quale ostacolerebbe la crescita psicologica, emotiva e affettiva del bambino.
E’ vero che le ricerche anteriori agli anni 50 sembravano dimostrare un deficit cognitivo e intellettivo dei bambini bilingui, ma ad un’analisi più attenta tali studi si sono rivelati poco attendibili dal punto di vista metodologico; erano stati scelti, infatti, soggetti monolingui appartenenti a contesti sociali dove la loro lingua godeva di prestigio, e soggetti bilingui svantaggiati socialmente e con una competenza inferiore nella lingua dominante (Diebold, in Titone 1996).
Prove in senso contrario invece provengono dalla ricerca più recente, sia nell’ambito neuroscientifico, come dimostrano i dati riportati da Danesi (in Balboni, 1996), sia nell’ambito della linguistica acquisizionale (ad esempio, Crystal, 1987), in cui vengono raccontati i risultati di alcune osservazioni longitudinali di bambini esposti a due lingue, i quali hanno raggiunto una piena acquisizione di entrambe, senza che si siano verificate interferenze negative permanenti tra le due lingue.

* Nei primi sei anni di vita il bambino può acquisire la LS usando gli stessi meccanismi attivati per la lingua madre.
Alcuni fenomeni neurologici, quali la mielinizzazione, la riduzione dell’attività metabolica, il decremento della sinaptogenesi, sembrano determinare alcuni periodi critici per l’acquisizione della lingua madre ed eventualmente anche di un’altra lingua.
Nella finestra 0-3 anni sono possibili l’acquisizione di una pronuncia perfetta e un ottimo sviluppo delle abilità linguistiche; a livello corticale, la L1 e la L2 saranno rappresentate nelle stesse aree cerebrali, per la cui attivazione sono coinvolti i sistemi di memoria procedurale.
Nel periodo da 4 a 8 anni è sempre possibile l’acquisizione di una pronuncia perfetta, ottimo sviluppo linguistico, ma l’energia necessaria per attivare le aree cerebrali dove le lingue sono rappresentate è maggiore; dal punto di vista neurologico le due lingue sono rappresentate solo parzialmente nelle stesse aree, nonostante la loro competenza della L2 sia ottima; è stato inoltre riscontrato che la L2 occupa in genere un’area più estesa che, conseguentemente, necessita di più energia e di un maggiore sforzo cognitivo per essere attivata.
Infine, dopo gli 8 anni si insinua più o meno fortemente l’accento straniero, la competenza morfosintattica può svilupparsi ancora notevolmente, sebbene con più fatica, mentre non ci sono particolari difficoltà nell’acquisizione lessicale; nelle persone che hanno appreso la L2 dopo gli 8 anni, questa è rappresentata in regioni diverse da quelle della LM, più estese e che coinvolgono principalmente i sistemi di memoria esplicita (Fabbro, 2004).

* Se incontra precocemente la LS il bambino può attivare i meccanismi di memoria implicita che sono gli stessi attivati per l’acquisizione della lingua materna.
La memoria implicita costituisce infatti la componente mnemonica privilegiata per i processi di apprendimento infantile nei primi 4-5 anni di vita. L’attivazione di questi meccanismi mnemonici anche per l’acquisizione della LS porta il bambino ad assimilare automatismi linguistici e forme routinizzate. A livello didattico ciò implica che l’insegnamento precoce della LS non può avvenire secondo modalità esplicite, basate sulla riflessione grammaticale; si dovranno al contrario progettare percorsi di acquisizione implicita, dove la LS costituisca un ambiente di apprendimento nel quale i bambini possono “lasciarsi andare” ed usare la LS per vivere esperienze significative per la loro crescita complessiva, creando allo stesso tempo con la pratica degli automatismi linguistici.

* L’acquisizione precoce della LS potrebbe condurre alla formazione di un sistema concettuale unico, direttamente connesso a L1 e L2
Una delle differenze più evidenti tra chi acquisisce una LS precocemente e in contesto naturale, e chi invece la apprende in età adolescente o adulta in ambito scolastico, consiste nella lentezza del processamento linguistico. In sostanza, chi ha appreso la LS tardivamente non ha sviluppato automatismi linguistici e quando comunica in una lingua diversa dalla propria tende a tradurre dalla lingua madre alla LS, rallentando così i processi comunicativi.
I dati provenienti da alcune ricerche psicologiche in merito alla rappresentazione mentale bilingue, sembrano accreditare l’ipotesi secondo cui l’acquisizione precoce di due lingue anziché una sola porta alla formazione di due sistemi lessicali distinti per le due lingue, ma entrambi collegati direttamente ad un unico sistema concettuale (si veda a questo proposito il modello presentato da Job in Freddi 1987, che tenta una sintesi di ricerche precedenti, tra cui Kolers, 1966; Green, 1986). Ciò significherebbe che, mentre chi apprende le lingue tardivamente possiede un sistema concettuale collegato indirettamente alla LS, e quindi per accedere al sistema concettuale deve passare per la lingua madre, chi è bilingue ha la possibilità di accedere al sistema concettuale direttamente e distintamente attraverso due lingue diverse, senza necessitare di traduzioni mentali."

Brak komentarzy: